Le varietà che si trovano nel mio oliveto sono quelle imposte dalla D.O.P., la cui selezione risponde ad una ratio di carattere organizzativo: dare un olio extravergine dal sapore più o meno uniforme; si tratta delle cultivar denominate «Frantoiane, Rotondelle, Leccine, Pendolino». Ne ho parlato in quest’altro articolo. Queste ultime sono piante impollinatrici ed insieme alle altre costituiscono begli arbusti con una buona resa e che danno un ottimo olio extravergine d’oliva. Tali varietà debbono, sempre secondo il disciplinare, rappresentare per lo meno l’80% delle piante. Ma, secondo me, così facendo, produrremmo tutti un olio extravergine più o meno uguale. Per questo motivo, sono particolarmente orgoglioso del restante 20%, rappresentato dalla varietà «Romanelle»: si tratta di un cultivar che ha più di duemila anni, introdotto in Italia dai coloni greci, in particolare i Focesi, che si erano stabiliti sui monti Picentini, ad est di Salerno. Durante la seconda guerra punica, i Focesi, come la maggior parte delle popolazioni campane, si allearono con Annibale, contro i Romani; ma dopo la vittoria di Zama i Romani regolarono a modo loro le questioni irrisolte che avevano con i “traditori”: distrussero, così, tutti gli insediamenti focesi ed i superstiti furono costretti a scappare verso sud, sui monti della Maddalena, tra Campania e Basilicata, dove, appunto, si trova Padula, la mia città, per riniziare da capo. Si tratta di una pianta molto brutta da vedere con tanti rametti secchi, spesso piena di fumaggine e da trattare molto delicatamente perché si rompe con facilità, poco produttiva e con una resa bassa. Ma ho sempre pensato che se i contadini l’hanno mantenuta per tanti secoli, un motivo valido ci doveva pur essere, anche se, di fatto, ne sono rimaste poche piante e soltanto a Padula. Così ho osservato che, se potando si apre di molto la chioma, lasciando penetrare il sole dappertutto, la fumaggine scompare. Se i rametti secchi vengono asportati regolarmente, non si riformano più nelle stesse quantità. Inoltre, fatto importante e fondamentale, ho valutato che, poiché i suoi frutti maturano tardi, nel periodo di agosto e settembre, quando la mosca olearia imperversa, questi risultano troppo duri per essere punti, restando così immuni da tale attacco. Infine, l’olio che danno è di una qualità superlativa! Non c’e’ niente da fare: l’esperienza dei nostri avi non si può buttare per semplici motivi economici! Per quanto riguarda la bellezza, poi che dire? Bello è quello che piace!