Gli iniziati sanno che arare il terreno dell’oliveto è un’impresa pressoché impossibile: le piante hanno radici molto superficiali e l’aratro, inevitabilmente, le distruggerebbe. Una volta c’erano i buoi o il cavallo da tiro e l’uomo che spingeva in basso l’aratro, per cui la scarsa forza non faceva andare oltre i 10, 15 centimetri sotto terra. I moderni aratri, tirati da potenti trattori, affondano per un minimo di 40 centimetri, combinando enormi disastri! Poi, si è visto che la terra fertile è quella dei primi centimetri, per cui è inutile rivoltare terra sterile per poi doverla riempire di concime, per ottenere un buon raccolto. Lavorare la terra è necessario, soprattutto per chi, come me, usa la trincia erba, che, insieme al passaggio degli stessi mezzi agricoli, determina un compattamento del suolo, con conseguente asfissia radicale. Molti usano la fresa meccanica, ma questa non risolve il problema, perché, girando orizzontalmente, i coltelli favoriscono la formazione di una suola durissima, che non lascia passare né acqua e né aria, per cui il rimedio è peggiore del male, essendo il risultato gradevole solo da un punto di vista estetico. Ho acquistato quindi, un attrezzo ancora poco conosciuto, per lo meno in collina: l’aratro a disco. Ne ho ordinato uno abbastanza piccolo, per una buona agilità tra le piante: questo mezzo è dotato non di un vomere, ma di dischi opportunamente orientati, in modo da tagliare la suola di terra, rivoltando i primi centimetri, arieggiandola ed ossigenandola così come si faceva arando a mano, con i buoi. Evviva, un altro passo verso l’agricoltura sostenibile!