Nell’oliveto, fra le varie cultivar presenti, ho trovato circa un’ottantina di piante, della varietà che i vecchi contadini chiamano ”Romanelle”. Le romanelle furono introdotte in italia dai Focesi, coloni greci che si insediarono nelle montagne del picentino, ad est di Salerno. Come la maggior parte delle popolazioni campane, i Focesi si allearono con Annibale contro i Romani. Dopo la battaglia di Zama e la completa distruzione di Cartagine, i Romani risolsero a modo loro la questione con chi si era ribellato e vennero a distruggere gli insediamenti di tali popolazioni. I superstiti si trasferirono nell’allora Lucania, portando con sé le proprie abitudini. Tale varietà di olivo nel Vallo di Diano si trova solo a Padula e qualche altro individuo isolato in altri paesi. La coltivazione di tali piante è stata abbandonata perché ritenute poco produttive ed in verità sono brutte a vedersi, perché mostrano facilmente rametti secchi, si coprono facilmente di fumaggine, il frutto è piccolo e matura tardi, costringendo a lavorare a dicembre-gennaio con il freddo pungente delle nostre zone. Ma l’olio che producono è eccellente: sono piante che resistono benissimo alle gelate, il loro aspetto è dovuto alla rusticità, come tutti i “brutti ma buoni”. Il fatto che maturino tardi è solo un vantaggio: a settembre, quando la mosca olearia (nemico numero uno delle olive) attacca le olive, trova un frutto duro che non riesce a penetrare. Nel 2015, anno terribile per le olive italiane falcidiate dalla mosca olearia, ho regolarmente raccolto tali frutti mentre dovevo rinunciare all’intera produzione delle altre. Per distruggere la fumagine ho imparato a potarle molto, facendo arrivare dappertutto il sole e l’aria di cui sono estremamente ghiotte. Con l’aiuto di un importante vivaista, Pacini di Pescia (PT), sono riuscito ad ottenere delle talee virus esenti e con il DNA certificato, in modo da produrre l’olio dei coloni della Magna Grecia in monocultivar.